In ottemperanza con i fini sociali della associazione Il Faro di Corzano, è con soddisfazione che è stato programmato presso il laboratorio artistico della stessa associazione, nel periodo di maggio e giugno una iniziativa che ci vede coinvolti ad impartire N. 6 lezioni di ceramica creativa ad un gruppo di persone con disabilità del centro socio occupazionale della Cooperativa Sociale l’Alveare di San Piero in Bagno.
Un grazie sincero da parte del direttivo alla insegnante Gabrielli Albarosa che si è assunta questo delicato compito, ed un grazie alla dirigente dell’Alveare per averci concesso questa opportunità di potere mettere al servizio del prossimo la nostra struttura operativa e creativa
È con viva e soddisfazione che nel nostro laboratorio di ceramica, abbiamo portato a termine un corso di ceramica, dedicato ad un gruppo di assistiti del Centro Socio Occupazionale della Cooperativa Sociale l’Alveare di San Piero In Bagno.
Questa iniziativa ha rappresentato in concreto quelli che sono i fini e i valori statutari di una associazione di Promozione Sociale come la nostra.
Mettersi a disposizione del prossimo, specialmente, come in questo caso, per persone che si trovano in una condizione di maggiore fragilità, rappresenta uno dei punti più qualificanti dei nostri fini sociali.
Durante il corso di N. 6 lezioni di reciproca e stimolante soddisfazione, sono stati creati dai partecipanti delle bellissime creazioni che si possono ammirare nelle foto postate (ancora da cuocere al forno) che rimarranno in concreto quale testimonianza di questa bella iniziativa.
Il consiglio del direttivo del Faro di Corzano coglie l’occasione per rinnovare i più fervidi ringraziamenti alla nostra insegnante Gabrielli Albarosa che si è assunta questo delicato compito, un sincero grazie alla dirigente della Cooperativa l’Alveare Silvia Roverelli per averci concesso questa qualificante opportunità, che ci auguriamo potere ripetere il prossimo anno.
Un grande grazie a tutti partecipanti al corso che si sono dimostrati allievi attenti e desiderosi di fare proprie le tecniche di modellare la creta.
Un Grazie alla fondazione Asilo Infantile delle Grazie per averci concesso in comodato d’uso Gratuito il locale dove abbiamo allestito il laboratorio di ceramica.
Ieri sera presso il molino Vicchi in una atmosfera gioiosa ed un clima ideale, si è svolta la tradizionale serata dedicata al fuoco nella gorga dei frati, per onorare la festività della Madonna di Corzano.
Un evento della nostra tradizione che attira sempre un pubblico numeroso, che ieri sera ha superato le più rosee previsioni della vigilia. (sono stati serviti c.a 400 piatti di polenta), mettendo a dura prova tutto l’impianto organizzativo che comunque ha saputo far fronte con grande spirito partecipativo e competenza.
Con questo evento l’associazione Il Faro di Corzano conclude il ciclo degli eventi estivi, che ci ha visti impegnati con numerose iniziative.
Nell’occasione un doveroso ringraziamento a quanti, soci, volontari, benefattori (sarebbe lunghissimo citarli tutti) che con il loro solidale apporto, hanno reso possibile lo svolgimento di questa bella serata.
Un ringraziamento particolare anche ai numerosi cittadini che sono intervenuti all’evento.
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Siamo un’ associazione di volontariato No Profit, che promuove diverse iniziative a carattere culturale, storico e sociale. Da diversi anni portiamo avanti un laboratorio per la lavorazione della ceramica, gestito da volontari. Promoviamo corsi di ceramica per minori. Collaboriamo con centri sociali che si dedicano a persone con disabilità, offrendo loro uno spazio creativo ed inclusivo. Il nostro forno è oramai vecchio con problemi di malfunzionamento e non riesce più a sopperire alle esigenze del laboratorio. Chiediamo il vostro aiuto al fine di potere acquistare un forno nuovo. Ogni donazione ci avvicina a realizzare il nostro sogno.
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Gervasio, al secolo Giovanni Gervasi, un viandante che noi bambini degli anni 50- 60 lo avevamo relegato in quella dimensione nell’immaginario tra leggenda, mistero e timore.
Quando si spargeva la voce che nei paraggi avevano avvistato Gervasio, noi bambini venivamo posseduti da un sentimento a metà tra la curiosità e il timore. Curiosità di volere vedere dal vivo un personaggio che per quei tempi si era creato una certa notorietà, ma anche un certo timore che sempre induce quando ci si trova di fronte ad un personaggio di cui non si conosce ne la storia ne i luoghi dai quali proviene, per questo permeata di quel sottofondo di mistero che incute tutto ciò che ci è ignoto.
Poi Il barbone folto e grigio, il largo cappellaccio che gli occultava parzialmente gli occhi, il mantello scuro sulle spalle che gli scendeva da un lato fino alle ginocchia, una ciurma di cani sudici e spelacchiati al seguito, contribuivano farne un personaggio misterioso ed inquietante.
Naturalmente questo insano timore ci era stato trasmesso dai racconti degli adulti che vedevano in questo itinerante e bizzarro girovago un portatore di ignoti influssi e poteri da cui guardarsi e fare scongiuri.
Per questi motivi e per evitare chissà quali disavventure doveva essere trattato con timoroso e reverenziale rispetto.
Pertanto quando si trovava a transitare nei paraggi, anche se a malincuore, gli venivano dati vitto ed alloggio nella capanna del casale per se e per i suoi fidi cani, augurandosi in cuor loro che la permanenza si protraesse il minor tempo possibile.
Mi sono sempre chiesto da dove provenisse tutto questo timore e diffidenza verso questo girovago, che non si è mai saputo abbia fatto male ad alcuno, la cui condizione di girovago, va molto probabilmente ricercata in una sua interiore e libera scelta di vita. Si dice che fosse anche una persona alquanto istruita e colta.
Da adulto mi sono più volte chiesto quali fossero i motivi per cui questo originale personaggio incutesse tanto mistero, timore e diffidenza.
La curiosità e lo spirito indagatore che mi riconosco, specialmente per questo genere di temi, unita anche a personali conoscenze che mi derivano da ricerche storiche dei nostri luoghi, mi ha portato ad approfondire e a darmi questa possibile spiegazione.
Le popolazioni più antiche che abitavano i nostri luoghi prima dell’era cristiana (Umbro-Celti) per regolamentare ed amministrare la loro arcaica struttura sociale, facevano riferimento ad una specie di sacerdote (Druido) il quale oltre ad avere funzioni amministrative, religiose e di giustizia, era anche un conoscitore oltre che manipolatore di sostanze e pozioni allucinogene, che usava per fare credere al popolo di possedere poteri divini e magici.
Questo sacerdote dalle molteplici funzioni che andavano dall’amministrare il potere politico e religioso, all’esercizio della magia e stregoneria (il mago Merlino tanto per fare un nome conosciuto, era un suo collega) dove naturalmente tutto era finalizzato per trarne un suo esclusivo vantaggio e potere da esercitare nei confronti del popolo e per non rischiare indesiderati antagonismi era anche un gelosissimo ed esclusivo depositario della conoscenza e della cultura in tutte le forme allora conosciute, che doveva essere rigorosamente e gelosamente protetta, ed in alcun modo divulgata, ne in forma orale, ne scritta. Solo trasmessa per linea di discendenza diretta.
Poi successivamente con l’avvento del cristianesimo questi pseudo sacerdoti o Druidi i cui potere e dogmi erano profondamente radicati nel tessuto sociale di quel tempo, cominciarono ad essere combattuti e perseguiti dal nuovo e dilagante potere religioso, che per prevalere cercava di fare scomparire ogni forma di cultura pagana.
Pertanto i Druidi, per continuare a trarre vantaggio da queste loro variegate conoscenze che erano anche una forma di potere, furono giocoforza costretti a trasformarsi e a mimetizzarsi nel tessuto sociale per scampare alle inevitabili persecuzioni e sacrileghe demonizzazioni della religione cristiana.
Fu così che nacquero i “Bardi” una sorta di cantastorie e guaritori itineranti che andavano di villaggio in villaggio con il loro bagaglio di conoscenza e sapienza.
Lasciti del loro antico potere religioso e culturale che ancora contribuivano a farne una specie di stregoni e guaritori, che sfruttarono per divulgare e mercanteggiare le più svariate delle pozioni medicinali dai poteri miracolosi e magici.
Ancora negli anni 50 nei nostri mercati e fiere abbiamo avuto modo di conoscere questa antichissima casta ambulante di itineranti cantastorie e venditori di pozioni miracolose per ogni sorta di malanni.
Pertanto penso che nell’immaginario collettivo, Gervasio personificasse e custodisse a sua insaputa quello che avevano rappresentato questi suoi lontanissimi progenitori e seppure distorto dall’influsso del tempo, quanto restava mitizzato, misterioso e sacrilego di quel lontanissimo mondo.
Proviamo a fare qualche ipotesi di come poteva essere Santa Sofia dopo che i Sarsinati nel 192 a.C. chiesero aiuto a Roma perché li liberassero dai Galli, che imperversavano nei loro territori, creando disordini e razziando il loro bestiame.
Roma mandò il console Publio Elio, che assieme al suo luogotenente Gaio Ampio ( poi quest’ultimo sconfitto dai galli presso Castro Mutilum, Meldola o Modigliana) liberarono i nostri territori dai Galli.
Alcuni toponimi e la conformazione del territorio fanno ritenere che Santa Sofia, dopo questa liberazione dai Galli, sia poi diventata un’area militare di rifornimento e sosta per le legioni romane che transitavano nell’Appennino, per recarsi nella pianura Padana e anche oltre.
Vediamo perché questa ipotesi.
Già il toponimo di Campigna deve intendersi di probabile origine romana, dal latino Campilia (campus – ilia) che ha il significato di insediamento comunitario militare.
A Santa Sofia, vicino a San Martino, esiste un toponimo “Campo-Isola” in dialetto nel tempo diventare (Camp – ed – l’isla ) che potrebbe derivare da “Campus-Ilia”.
La località è un ampio pianoro che si presta ad un insediamento militare.
Anche il toponimo Piana del Campo, in latino (Plana – Campus), potrebbe far pensare ad un insediamento militare, per poi rimanere identificato nel tempo come “Piana del Campo”.
Se veramente esistevano degli insediamenti militari dovevano anche esistere dei templi dove ingraziarsi gli Dei.
A Marte il Dio della Guerra, a cui si rivolgevano specialmente i militari. Oppure a Giunone la Dea Madre, che poteva assumere molti e diversi significati religiosi, a cui si rivolgevano un po’ tutti, specialmente chi si trovava fuori da casa sua e dalla famiglia, appunto i militari.
Vicino a Campo Isola esiste la frazione di San Martino, il cui nome, con poco sforzo, si può assimilare a Marte.
Non è detto che questo significhi qualcosa, ma il nome Marte – Martino potrebbe avere un qualche collegamento e significato, con cui veniva anticamente identificata questa località.
Probabile che la chiesa di San Martino sia stata edificata in un luogo che da molto tempo era ritenuto un luogo sacro per la presenza in antichità di un tempio dedicato al Dio Marte, per poi diventare in era cattolica San Martino.
Il luogo è su un’altura, proprio dove anticamente venivano edificati i templi.
Altro toponimo, “Montegignoli” in dialetto “Mozignoul”.
Potrebbe essere riferito ad un piccolo tempio dedicato alla Dea Giunone, infatti in latino antico, Juniola ha il significato di piccolo tempio a Giunone, in dialetto poi “Monzignoul” – “monte-juniola”.
A molti non è dato sapere, ma sul monte esistono degli antichi ruderi, oramai poco visibili in quanto ricoperti dalla vegetazione.
Sarebbe interessante poter approfondire se hanno una attinenza con il toponimo.
Inoltre nel territorio di Santa Sofia si trovano tantissime monete romane che generalmente si trovano in luoghi archeologici dove sono stati dissepolti insediamenti abitativi, cosa che non esiste nel territorio di Santa Sofia, il che fa supporre che il territorio poteva benissimo essere un avamposto militare frequentato da molti guerrieri, ma non da strutture abitative.
Tengo a dire, che non c’è niente di certo e provato, solo delle deduzioni, che però solleticano la curiosità di quanti hanno in animo il desiderio di sapere di più sulle proprie origini.
Di seguito il link al documento contenente la ricerca di dove avvenne questa storica battaglia (Tito Livio, Libro XXIII – 24)