Gervasio, al secolo Giovanni Gervasi, un viandante che noi bambini degli anni 50- 60 lo avevamo relegato in quella dimensione nell’immaginario tra leggenda, mistero e timore.

Quando si spargeva la voce che nei paraggi avevano avvistato Gervasio, noi bambini venivamo posseduti da un sentimento a metà tra la curiosità e il timore. Curiosità di volere vedere dal vivo un personaggio che per quei tempi si era creato una certa notorietà, ma anche un certo timore che sempre induce quando ci si trova di fronte ad un personaggio di cui non si conosce ne la storia ne i luoghi dai quali proviene, per questo permeata di quel sottofondo di mistero che incute tutto ciò che ci è ignoto.

Poi Il barbone folto e grigio, il largo cappellaccio che gli occultava parzialmente gli occhi, il mantello scuro sulle spalle che gli scendeva da un lato fino alle ginocchia, una ciurma di cani sudici e spelacchiati al seguito, contribuivano farne un personaggio misterioso ed inquietante.

Naturalmente questo insano timore ci era stato trasmesso dai racconti degli adulti che vedevano in questo itinerante e bizzarro girovago un portatore di ignoti influssi e poteri da cui guardarsi e fare scongiuri.

Per questi motivi e per evitare chissà quali disavventure doveva essere trattato con timoroso e reverenziale rispetto.

Pertanto quando si trovava a transitare nei paraggi, anche se a malincuore, gli venivano dati vitto ed alloggio nella capanna del casale per se e per i suoi fidi cani, augurandosi in cuor loro che la permanenza si protraesse il minor tempo possibile.

Mi sono sempre chiesto da dove provenisse tutto questo timore e diffidenza verso questo girovago, che non si è mai saputo abbia fatto male ad alcuno, la cui condizione di girovago, va molto probabilmente ricercata in una sua interiore e libera scelta di vita. Si dice che fosse anche una persona alquanto istruita e colta.

Da adulto mi sono più volte chiesto quali fossero i motivi per cui questo originale personaggio incutesse tanto mistero, timore e diffidenza.

La curiosità e lo spirito indagatore che mi riconosco, specialmente per questo genere di temi, unita anche a personali conoscenze che mi derivano da ricerche storiche dei nostri luoghi, mi ha portato ad approfondire e a darmi questa possibile spiegazione.

Le popolazioni più antiche che abitavano i nostri luoghi prima dell’era cristiana (Umbro-Celti) per regolamentare ed amministrare la loro arcaica struttura sociale, facevano riferimento ad una specie di sacerdote (Druido) il quale oltre ad avere funzioni amministrative, religiose e di giustizia, era anche un conoscitore oltre che manipolatore di sostanze e pozioni allucinogene, che usava per fare credere al popolo di possedere poteri divini e magici.

Questo sacerdote dalle molteplici funzioni che andavano dall’amministrare il potere politico e religioso, all’esercizio della magia e stregoneria (il mago Merlino tanto per fare un nome conosciuto, era un suo collega) dove naturalmente tutto era finalizzato per trarne un suo esclusivo vantaggio e potere da esercitare nei confronti del popolo e per non rischiare indesiderati antagonismi era anche un gelosissimo ed esclusivo depositario della conoscenza e della cultura in tutte le forme allora conosciute, che doveva essere rigorosamente e gelosamente protetta, ed in alcun modo divulgata, ne in forma orale, ne scritta. Solo trasmessa per linea di discendenza diretta.

Poi successivamente con l’avvento del cristianesimo questi pseudo sacerdoti o Druidi i cui potere e dogmi erano profondamente radicati nel tessuto sociale di quel tempo, cominciarono ad essere combattuti e perseguiti dal nuovo e dilagante potere religioso, che per prevalere cercava di fare scomparire ogni forma di cultura pagana.

Pertanto i Druidi, per continuare a trarre vantaggio da queste loro variegate conoscenze che erano anche una forma di potere, furono giocoforza costretti a trasformarsi e a mimetizzarsi nel tessuto sociale per scampare alle inevitabili persecuzioni e sacrileghe demonizzazioni della religione cristiana.

Fu così che nacquero i “Bardi” una sorta di cantastorie e guaritori itineranti che andavano di villaggio in villaggio con il loro bagaglio di conoscenza e sapienza.

Lasciti del loro antico potere religioso e culturale che ancora contribuivano a farne una specie di stregoni e guaritori, che sfruttarono per divulgare e mercanteggiare le più svariate delle pozioni medicinali dai poteri miracolosi e magici.

Ancora negli anni 50 nei nostri mercati e fiere abbiamo avuto modo di conoscere questa antichissima casta ambulante di itineranti cantastorie e venditori di pozioni miracolose per ogni sorta di malanni.

Pertanto penso che nell’immaginario collettivo, Gervasio personificasse e custodisse a sua insaputa quello che avevano rappresentato questi suoi lontanissimi progenitori e seppure distorto dall’influsso del tempo, quanto restava mitizzato, misterioso e sacrilego di quel lontanissimo mondo.

Proviamo a fare qualche ipotesi di come poteva essere Santa Sofia dopo che i Sarsinati nel 192 a.C. chiesero aiuto a Roma perché li liberassero dai Galli, che imperversavano nei loro territori, creando disordini e razziando il loro bestiame.
Roma mandò il console Publio Elio, che assieme al suo luogotenente Gaio Ampio ( poi quest’ultimo sconfitto dai galli presso Castro Mutilum, Meldola o Modigliana) liberarono i nostri territori dai Galli.
Alcuni toponimi e la conformazione del territorio fanno ritenere che Santa Sofia, dopo questa liberazione dai Galli, sia poi diventata un’area militare di rifornimento e sosta per le legioni romane che transitavano nell’Appennino, per recarsi nella pianura Padana e anche oltre.
Vediamo perché questa ipotesi.
Già il toponimo di Campigna deve intendersi di probabile origine romana, dal latino Campilia (campus – ilia) che ha il significato di insediamento comunitario militare.
A Santa Sofia, vicino a San Martino, esiste un toponimo “Campo-Isola” in dialetto nel tempo diventare (Camp – ed – l’isla ) che potrebbe derivare da “Campus-Ilia”.
La località è un ampio pianoro che si presta ad un insediamento militare.
Anche il toponimo Piana del Campo, in latino (Plana – Campus), potrebbe far pensare ad un insediamento militare, per poi rimanere identificato nel tempo come “Piana del Campo”.
Se veramente esistevano degli insediamenti militari dovevano anche esistere dei templi dove ingraziarsi gli Dei.
A Marte il Dio della Guerra, a cui si rivolgevano specialmente i militari. Oppure a Giunone la Dea Madre, che poteva assumere molti e diversi significati religiosi, a cui si rivolgevano un po’ tutti, specialmente chi si trovava fuori da casa sua e dalla famiglia, appunto i militari.
Vicino a Campo Isola esiste la frazione di San Martino, il cui nome, con poco sforzo, si può assimilare a Marte.
Non è detto che questo significhi qualcosa, ma il nome Marte – Martino potrebbe avere un qualche collegamento e significato, con cui veniva anticamente identificata questa località.
Probabile che la chiesa di San Martino sia stata edificata in un luogo che da molto tempo era ritenuto un luogo sacro per la presenza in antichità di un tempio dedicato al Dio Marte, per poi diventare in era cattolica San Martino.
Il luogo è su un’altura, proprio dove anticamente venivano edificati i templi.
Altro toponimo, “Montegignoli” in dialetto “Mozignoul”.
Potrebbe essere riferito ad un piccolo tempio dedicato alla Dea Giunone, infatti in latino antico, Juniola ha il significato di piccolo tempio a Giunone, in dialetto poi “Monzignoul” – “monte-juniola”.
A molti non è dato sapere, ma sul monte esistono degli antichi ruderi, oramai poco visibili in quanto ricoperti dalla vegetazione.
Sarebbe interessante poter approfondire se hanno una attinenza con il toponimo.
Inoltre nel territorio di Santa Sofia si trovano tantissime monete romane che generalmente si trovano in luoghi archeologici dove sono stati dissepolti insediamenti abitativi, cosa che non esiste nel territorio di Santa Sofia, il che fa supporre che il territorio poteva benissimo essere un avamposto militare frequentato da molti guerrieri, ma non da strutture abitative.
Tengo a dire, che non c’è niente di certo e provato, solo delle deduzioni, che però solleticano la curiosità di quanti hanno in animo il desiderio di sapere di più sulle proprie origini.